...E PASSI IL RESTO DELLA VITA A IMMAGINARE UN ALTRO FINALE

...E PASSI IL RESTO DELLA VITA A IMMAGINARE UN ALTRO FINALE

Mio padre si è spento una notte di aprile, senza darmi l’occasione di salutarlo, senza aspettarmi. Ho sempre avuto l’illusione, o meglio, la speranza, che esistesse un filo invisibile tra le persone care, quel tipo di legame che dovrebbe far presagire l’arrivo di una disgrazia. Quindi mi sono sempre esercitata ad acuire la mia sensibilità in questo senso.
Dopo la prima grande perdita della mia vita, però, ho creduto a lungo che con mio padre non ci fosse quel legame speciale o che forse io non fossi tanto sensibile come immaginavo. Alla fine ho capito che, se succede qualcosa a una persona per me importante, ci devono essere una serie di coincidenze fortunate per arrivare in tempo.
Quella sera non ero in casa, e quando ricevetti la chiamata di mia madre, lui si era già arreso. E io ancora vivo col pensiero che forse avrei potuto fare la differenza. Quindi ho abbandonato fili e sensibilità e ho cominciato ad allenare le gambe. Perché il segreto è correre sempre. Correre nel senso di esserci, prima che sia tardi, per non dover passare la vita a farsi domande che non troveranno mai una risposta. E non perché non ce ne sia una, ma perché è difficile da accettare: potevo fare di più, potevo godermelo di più, avrei potuto...avrei dovuto...ma non ci sono arrivata, non ci si arriva mai e alla fine è la vita ad avere il sopravvento.


Quando si perde un punto di riferimento importante, non si è mai abbastanza forti per opporsi alla corrente degli eventi e di solito è facile perdersi nelle burrasche della vita.
Dopo il funerale di mio padre, mi imposi, quasi inconsciamente, di non reagire alla situazione e, troppo arrabbiata con la vita e con dio, mi lasciai trascinare dalle circostanze creandomi una vita con persone sconosciute e sbagliate.
Fu in quel momento che decisi di aprire un blog anonimo per sfogare rabbia, frustrazione e raccogliere i pensieri.


LA RABBIA DEL MOSCERINO
26.06.2009
Sono passati tre mesi da quando papà è morto. Non esco di casa da allora. Ma questa sera la mia amica Chiara ha insistito così tanto, così è un’ora che mi faccio violenza e fingo di divertirmi. Siamo in un locale dei Murazzi, c’è tanta confusione. Avrei bisogno di un diversivo per abbandonare la ressa.
Eccolo.
Sembra aver captato le mie richieste d’aiuto, ma forse mi sbaglio.
Si avvicina.
Nella confusione nessuno si è accorto che le nostre mani si stringono. Mi porta in una zona del locale chiusa al pubblico. Lo seguo con sollievo.
— Ciao io sono Rachid.
— Marica. Fai il buttafuori?
— Sì...sei molto bella. 
Sorridendo imbarazzata lo ringrazio.
— Di dove sei?
— Marrakech.
— Li hai i documenti? 
Chiedo con fare scherzoso, mantenendo un sorriso rassicurante.
— Certains.
Chiacchieriamo ancora. E’ una persona piacevole. Ha gli occhi buoni che rivelano una tristezza velata, forse nostalgia per la sua terra.
Ora deve tornare a lavorare. Mi chiede il numero di telefono e salutandomi mi bacia.
Torno da Chiara e giustifico in qualche modo la mia assenza.
— Scusami...c’era coda in bagno.
Io e Rachid passiamo il resto della serata a guardarci furtivamente. E torno a casa pensando che non sia stato l’incontro della vita, ma che distrarmi un po’ non può farmi che bene.
Ci vediamo tutti i giorni da un mese. Sto bene e mi aiuta a distrarmi, anche se mi ha mentito sui documenti. E’ arrivato in Italia quattro anni fa, a Caserta, raggiungendo un cugino della madre con un permesso di lavoro stagionale. Scaduto il documento, i parenti che lo ospitavano l’hanno cacciato, arrivando anche a cambiare la serratura di casa. Così dopo disavventure varie ora è a Torino.
Ha un lavoro, un letto in una stanza con altri connazionali e forse la possibilità di regolarizzare la sua posizione.
Rachid crede nel sogno italiano, lui crede in qualcosa. E’ bello sentirlo raccontare e vedere come gli brillano gli occhi.
—Amo l’Italia da quando sono piccolo.
Con l’italiano non se la cava male. E’ attento e curioso. Sicuramente imparerà velocemente.
Mi fido di lui e ho finalmente abbassato la guardia.


II PARTE

Dopo esattamente un mese, feci la disarmante scoperta di essere rimasta incinta. In quel momento la mia mente, già così provata, non fu in grado di dare il giusto peso agli eventi. Il dolore, la sofferenza e la rabbia ebbero la meglio. Mi convinsi che fosse chiaramente un segno che mi indicava che quell'uomo era finalmente quello giusto.

LA RABBIA DEL MOSCERINO

27.07.2009
Lo aspetto davanti al solito bar. Sono evidentemente nervosa.
Arriva. Lo saluto e entriamo. Ci sediamo e ordiniamo da bere. Mi scruta con aria interrogativa.
—Dimmi tutto.
Tengo lo sguardo basso e gioco con gli anelli. Mi fermo. Gli punto gli occhi in faccia e tutto d’un fiato gli dico:
—Credo di essere incinta.
Appoggia il menù di scatto, poi lo riprende, mi guarda incredulo, pensa che stia scherzando e accenna un sorriso.
— Il ne est pas possible. Non è mio.
Lo guardo senza dire nulla. Non era la reazione che mi aspettavo. Sono arrabbiata e smarrita. Trattengo le lacrime. Lui se ne accorge e teso mi parla in francese. 
—Non voglio un figlio. Non è il momento...la mia situazione è incerta, cosa potrei offrirgli? Ti ho chiesto di avere pazienza, ti ho parlato della possibilità di ottenere i documenti e voglio concentrarmi su questo. Voglio stare con te, ma un figlio ora...proprio no.

Lavandosene le mani lui, mi ritrovai, sola, in balia di quell'atroce decisione. Sempre più arrabbiata con la vita e con quel dio che forse si era dimenticato di me, vagliai le poche possibilità che mi si presentavano. Pensai a mia madre e a quanto altro dolore avrei potuto causarle. Dopo la morte di mio padre, comunicarle che aspettavo un bambino da un perfetto sconosciuto, per giunta di un altro paese e addirittura di un'altra religione, l’avrebbe probabilmente uccisa.
La religione cattolica è sempre stata alla base della mia educazione, non mi è mai dispiaciuto, capisco fosse un modo per darmi una direzione, una sorta di “imprinting”, ma in cui, paradossalmente, il diverso non è contemplato.
Per questo motivo decisi nel silenzio che se c'era qualcuno che si meritava di soffrire ero comunque solo io. E, sapendo di essere già morta dentro, decisi di non dare quella possibilità alla vita, consapevole che mi stavo marchiando indelebilmente l’anima.
UN FIGLIO IN POTENZA
E’ da un paio d’anni che fantastico sull’idea di diventare madre prima o poi. E’ sempre stato un pensiero gioioso. E’ uno di quei particolari pensieri che sono provvisti anche di profumi: l’odore di talco, di crema, insomma il profumo di bambino e di tutto ciò che caratterizza l’infanzia. L’immagine di te che ti accarezzi la pancia, con tutta l’innocenza di cui disponi, perché quel tipo di pancia è l’unico che ti puoi concedere senza sensi di colpa. Il fantastico miracolo di quel ritardo, che ti preannuncia il cambiamento più importante dell’esistenza: entri in quel particolare periodo della vita che parte proprio, banalmente, dall’associare significati positivi a parole che prima avevano connotazioni negative: pancione, ritardo, nausee... 
Naturalmente nemmeno in quella circostanza le cose andarono come avevo sognato. Realizzare del ritardo fu drammatico, l’immagine del futuro imminente lo fu ancora di più. Comunicare quel tipo di notizia con addosso l’armatura pesante della consapevolezza, l’idea del giudizio, della delusione negli occhi di chi amo, mi divennero insopportabili. La mia vile mancanza di coraggio e serenità fecero tutto il resto, colorando il tutto di terribili tinte funebri. Quando il ritardo divenne importante, mi convinsi a far diventare reale quel timore che cresceva vorace.
Feci il test.

LA RABBIA DEL MOSCERINO
25.07.2009
Chiara mi porta a casa sua. Abbiamo appena comprato il test in farmacia.
Lo faccio e attendiamo nervosamente il responso. 
-Vedrai che è tutto a posto.
Mi dice senza guardarmi negli occhi.
Leggiamo le istruzioni.
-Allora una lineetta negativo, due...ok.
Non dico nulla e gioco con i capelli. So già bene quale sarà l’esito, ma ingenuamente attendo il miracolo. Aspettiamo i cinque minuti indicati.
-Guarda tu.
Le dico rompendo il silenzio.
-Cristo.
Chiara sbarra gli occhi e mi abbraccia.
Sorrido triste e consapevole, accarezzandomi la pancia.


III PARTE

Mi presi un paio di giorni di tempo, cercando di ricordarmi di respirare.
Spesso mi ritrovai soprappensiero a rassicurare il mio piccolo inquilino con una carezza, sorridendo, ma con quel sorriso amaro di chi una decisione, in cuor suo, l’ha già presa; decisione stupidamente dettata dalla convinzione di non poter deludere più, perché fatto troppe volte. 
Pensai alle due bocciature a scuola, le notti fuori casa e a quegli amici sempre troppo poco raccomandabili per mia madre. Ero lobotomizzata dal dolore e dal il senso di colpa. 
I giorni prima dell’intervento furono un susseguirsi di pensieri, di rimproveri a me stessa, di preghiere di poter tornare indietro. E poi quella domanda insistente:
-Perché adesso? Perché proprio in quel momento di vita così delicato e perché con
quell’uomo appena conosciuto. Perché non qualche anno prima, quando questo tipo di notizia avrebbe forse dato una svolta al fidanzamento che oramai portavo avanti, stancamente, da anni.

I MIEI PERSONALISSIMI SALVAGENTE

Rachid fu deleterio e annientante visto da una prospettiva limitata e superficiale. In realtà il suo incontro innescò tutta una serie di reazioni a catena che, ora lo posso dire, mi salvarono la vita.
Decisi che la mia missione fosse aiutare Rachid ad ottenere i documenti: per salvare almeno il padre del figlio a cui avevo rinunciato.

Sfruttammo il decreto flussi.
Alla fine servivano soldi, una casa e una persona che garantisse per lui. A trovargli un posto di lavoro fittizio ci avrebbero pensato i padroni del locale dove faceva il buttafuori.
Usai l
eredità di papà e a quel punto fui sicura di aver individuato la mia missione. Avevo i soldi, un enorme debito con la vita e una persona che aveva bisogno di me.

LA RABBIA DEL MOSCERINO 

23.11.2009

Sto andando da Rachid, per accompagnarlo a lavoro. Sono in aticipo perché dopo aver insistito tanto, questa sera finalmente mi farà salire a casa. Non è convinto, ma io, visto che tra meno di un mese vivremo insieme, voglio vedere la sua quotidianità.
Corso Vigevano, ci sono. Faccio due piani di scale e lui mi attende sul ballatoio.
-Io sono già pronto
...possiamo andare.
Mi dice imbarazzato.

-Ma come? Fammi entrare dai, volevo un bicchiere dacqua. 
Mento.
Lui è in difficoltà, ma io sono troppo curiosa per preoccuparmi.

Entriamo. 
Non mi aspetto di sicuro una reggia, ma per un attimo ho sentito il cuore stringersi. Forse non avrei dovuto insistere. Cerco di non dare a vedere il mio disagio per lui e esploro la casa.
-Carina. Qui è dove dormi tu?.
Indicando un letto a caso dei quattro presenti. 

-Si.
Mi risponde fingendo di sistemare dei vestiti.
-Fa freddino, avete il riscaldamento?
Non mi risponde e mi indica una stufetta elettrica. 

-Dividi la stanza con altre persone?
-Sì, un amico.
Non vado oltre, mi rendo conto di essere stata oltremodo invadente. Ma sono felice di portarlo via dal quel posto. La doccia è in cucina accanto al lavello e fa veramente molto freddo. Non riesco a trattenermi e gli chiedo ancora del bagno e lui, un po
spazientito, mi racconta della "turca" ballatoio.
Decido che è tardi e che è ora di andare.


Non sono ricca, anche Nichelino, la mia città, offre spesso scene di degrado, ma la vista di tutta quella miseria e del modo dignitoso di quel ragazzo di portarsi addosso con estrema leggerezza il peso dellindigenza, mi fecero commuovere. E decisi che meritava unoccasione.

La nuova casa aveva una cucina color petrolio che mene fece subito innamorare. Da lì partì la nostra movimentata avventura... 

IV PARTE
La nuova casa aveva una cucina color petrolio che me ne fece subito innamorare. Da lì partì la nostra movimentata avventura. La prima volta che Rachid mise piede in casa, gli si illuminarono gli occhi, rimase dieci minuti estasiato ad ammirare il fatto di avere finalmente il bagno e la doccia nello stesso locale e mi si scaldò il cuore.

LA RABBIA DEL MOSCERINO
Dicembre 2010

— Rach, ti piace sul serio?
—Sì, è calda e il bagno è bellissimo.
Non mi serve altro. I suoi occhi che brillano mi faranno sopportare l’idea che non saremo ricchi. Sarà difficile, ma abbiamo l’amore, non serve altro.

Di lì a poco decidemmo di iscriverci in una palestra vicino casa e, avendo bisogno di un certificato medico, incontrai la mia nuova dottoressa della mutua. Era una donna tutta d'un pezzo, diretta, brusca e spesso sconveniente. Il primo incontro non fu entusiasmante. 

LA RABBIA DEL MOSCERINO
Febbraio 2011

Entro nello studio della dottoressa. Non riesco nemmeno ad accomodarmi che una signora minuta, con i capelli mossi e tutti bianchi mi investe con una serie di domande a cui rispondo tentennando.
—Buonasera, perché è qui?
—Avrei bisogno di un certificato medico.
—Per cosa?
—Ah, dovrei iscrivermi in palestra.
—Bene si accomodi sul lettino.
Mi aspetto la solita misurazione di pressione e qualche auscultazione, invece continua:
—Bene si tolga la maglia.
—… ok, va bene.
—Dorme bene la notte?
—Mah, insomma più o meno.
—Lo sapevo.
Annuisce, prevedendo la mia risposta.
Mi palpa la pancia e aggiunge:
—Si sente stanca durante il giorno?
—Un pochino, ma faccio due lavori, credo sia normale.
Contrariata per l’intromissione, mi fulmina con lo sguardo.
Dopodichè comincia a palparmi il collo, mi chiede se ho difficoltà a deglutire e tutta un’altra serie d’informazioni che mi limito a dare senza più interpretazioni personali.
Si mette al computer e comincia a stampare un numero preoccupante di impegnative. Poi con aria di sfida mi consegna il plico:
-Qui c’è il certificato per la palestra e qui gli esami del sangue che sarebbe bene facesse. Torni da me con gli esiti.

Il giorno che decisi di andare a fare gli esami del sangue, fu come andare al patibolo: odio aghi, lacci emostatici e l’odore del disinfettante. E con mia amara sorpresa scoprii che le boccette da riempire erano sette. Non avevo mai superato le cinque. Arrivata davanti all'infermiera, ero già bianca come un cencio e avevo la pressione sotto i piedi, tant'è che nemmeno il laccio emostatico riuscì a portare in evidenza quel poco di vene che non si erano ancora nascoste. Dopo un lungo ed estenuante gioco di convincimento, le sette boccette furono riempite e la mia dottoressa ebbe finalmente la conferma che i suoi sospetti erano fondati: ipotiroidismo, dovuto forse ai precedenti traumi e immediata visita da uno specialista.

LA RABBIA DEL MOSCERINO
Febbraio 2011

Il dott. O. mi fa accomodare alla scrivania, mi pone le solite domande di rito, mi visita, ma poi intuisce e si mette in ascolto.
Ha gli occhi profondi e buoni e quindi decido di affidargli il mio segreto e i miei dubbi.
—Ho abortito qualche mese fa, probabilmente questo ha influito sulla mia patologia.
Proseguo giustificandomi, raccontandogli di mio padre nervosamente e trattenendo a stento il pianto.
Lui mi lascia finire e poi, teneramente, i suoi occhi mi stringono in un abbraccio:
—Signorina, tutto l’iter che mi ha raccontato non ha influito minimamente sulla sua patologia, stia tranquilla. E le confiderò che se proprio fossi costretto a scegliere una patologia, probabilmente sceglierei la sua. Non c’è nulla di cui si debba preoccupare. Ma ora, se mi permette, vorrei parlarle come un padre: ho un figlio più o meno della sua età…
Sorrido e lo incoraggio a proseguire.
—Bene. Io mi rendo conto che un aborto sia accompagnato da tutta una serie di emozioni: il senso di colpa, il dolore, la perdita e so che ci vorrà tanto tempo per superarlo. E’ una sorta di mutuo con la vita e ogni rata saldata va festeggiata.
Posso garantirle, però, che le rate del “suo mutuo” non saranno eterne e alla fine riuscirà a perdonarsi. Le auguro ogni bene.

CHECCO
Era una serata strana, una di quelle in cui, anche se novuoi, ti viene da pensare alla vita: alla tua vita, a quante persone hai incontrato, a quante sono state un lampo e a quante vorresti che fossero ancora qui a illuminarti il viso.

Nessun commento:

Posta un commento