lunedì 19 ottobre 2015

La difficoltà delle transizioni

Abbiamo 30 anni, questi magnifici 30 anni, che quando ne avevamo 20 ci sembravano così lontani, che proprio non riuscivamo a vederli e che la nostra immagine era di noi "vecchi". E invece eccoli arrivati, in fretta o no, con alle spalle un discreto bagaglio di esperienze. Ma come siamo ora, a 30 anni?

Vi racconto di Nicola, un giovane 30enne appunto, e uno spaccato della sua vita fin qui.
"... Sono in una fase di transizione, e io odio le fasi di transizione. Ho studiato per quasi 10 anni, credendo nella mia professione e in quello che stavo facendo. Purtroppo però in tutti questi anni non ho mai trovato un lavoro nel mio campo e la poca esperienza che ho, l'ho acquisita solo attraverso stage e tirocini. Ora sono più di 4 anni che lavoro per la stessa azienda, ma che si occupa di tutt'altro rispetto a quello che vorrei fare nella vita. Mi è sempre andata bene questa occupazione e l'ho sempre considerata di transizione, infatti in questi anni ho continuato ad occuparmi della mia formazione e della mia vera passione, facendo anche un sacco di sacrifici.
Pochi giorni fa mi offrono un posto di lavoro nel mio ambito, ma come libero professionista e per un periodo di tempo limitato. E ora il problema del 30enne: restare nel nido sicuro di un'azienda che non ti soddisfa a pieno, perché hai il contratto indeterminato, perché si sa, 'di questi tempi è oro!' e la nonna dice che è necessario per farti una famiglia oppure mollare tutto, rischiare e mettere finalmente a frutto gli sforzi e sacrifici che hai fatto fin qui?
Odio le fasi di transizione. Odio il limbo".

Eccolo qui il problema dei 30enni: stabilità vs. rischio - routine vs. novità. Culturalmente veniamo da quelle generazioni i cui valori portanti sono la famiglia e il lavoro sicuro, la stabilità insomma, e si era felici così, ci si credeva davvero. E per quanto noi ora siamo immersi in un presente diverso, ce l'abbiamo dentro, incarnato. Ecco perché noi 30enni siamo confusi e ci sentiamo scomodi in situazioni come queste: ci si stampa un sorriso in faccia all'idea di avere un amore per sempre, una famiglia solida, una casa con mutuo e un lavoro che ci consenta di pagarlo; ma poi quando riapriamo gli occhi ci troviamo con i piedi piantati in una realtà che è mutata mentre noi crescevamo e non ce ne siamo forse nemmeno resi conto.
Nicola, ovviamente io non posso dirti cosa fare, cosa scegliere. Posso dirti che probabilmente odi le transazioni e il limbo per questo motivo e il suggerimento che posso darti per prendere in autonomia qualunque decisione è provare a stare in questo limbo. Stai lì fermo, ascoltati e senti come stai immerso lì. Non fare liste dei pro e dei contro, ma ascolta solo te stesso, le tue sensazioni, emozioni e il tuo corpo. Ti aiuteranno a capire, perché loro non ti mentiranno mai, non li puoi mascherare.
E immaginati, come a 20 anni ti immaginavi a 30, ora proiettati a 40 e cerca di vedere cosa potrebbe farti sorridere. Una volta visualizzato e compreso, lotta per andare a prenderti quel sorriso, esattamente come hai fatto a 20 anni quando hai fatto certe scelte per il tuo futuro.
Non farti spaventare da questa scelta, non vederla come un bivio, ma come un'occasione.
Non essere spaventato dall'errore o dalla possibilità di prendere la decisione sbagliata, perché non esiste giusto o sbagliato, esiste solo la miglior scelta possibile per te, in questo momento.

In bocca al lupo e in corno al rinoceronte!

mercoledì 14 ottobre 2015

IV EPISODIO. REBECCATE A PUNTATE.

Se vi siete persi le parti precedenti, trovate il racconto completo nel link qui a destra:
REBECCATE A PUNTATE - E passi il resto della vita a immaginare un altro finale. Buona lettura.
IV PARTE
La nuova casa aveva una cucina color petrolio che me ne fece subito innamorare. Da lì partì la nostra movimentata avventura. La prima volta che Rachid mise piede in casa, gli si illuminarono gli occhi, rimase dieci minuti estasiato ad ammirare il fatto di avere finalmente il bagno e la doccia nello stesso locale e mi si scaldò il cuore.

LA RABBIA DEL MOSCERINO
Dicembre 2010

— Rach, ti piace sul serio?
—Sì, è calda e il bagno è bellissimo.
Non mi serve altro. I suoi occhi che brillano mi faranno sopportare l’idea che non saremo ricchi. Sarà difficile, ma abbiamo l’amore, non serve altro.

Di lì a poco decidemmo di iscriverci in una palestra vicino casa e, avendo bisogno di un certificato medico, incontrai la mia nuova dottoressa della mutua. Era una donna tutta d'un pezzo, diretta, brusca e spesso sconveniente. Il primo incontro non fu entusiasmante. 

LA RABBIA DEL MOSCERINO
Febbraio 2011

Entro nello studio della dottoressa. Non riesco nemmeno ad accomodarmi che una signora minuta, con i capelli mossi e tutti bianchi mi investe con una serie di domande a cui rispondo tentennando.
—Buonasera, perché è qui?
—Avrei bisogno di un certificato medico.
—Per cosa?
—Ah, dovrei iscrivermi in palestra.
—Bene si accomodi sul lettino.
Mi aspetto la solita misurazione di pressione e qualche auscultazione, invece continua:
—Bene si tolga la maglia.
—… ok, va bene.
—Dorme bene la notte?
—Mah, insomma più o meno.
—Lo sapevo.
Annuisce, prevedendo la mia risposta.
Mi palpa la pancia e aggiunge:
—Si sente stanca durante il giorno?
—Un pochino, ma faccio due lavori, credo sia normale.
Contrariata per l’intromissione, mi fulmina con lo sguardo.
Dopodichè comincia a palparmi il collo, mi chiede se ho difficoltà a deglutire e tutta un’altra serie d’informazioni che mi limito a dare senza più interpretazioni personali.
Si mette al computer e comincia a stampare un numero preoccupante di impegnative. Poi con aria di sfida mi consegna il plico:
-Qui c’è il certificato per la palestra e qui gli esami del sangue che sarebbe bene facesse. Torni da me con gli esiti.

Il giorno che decisi di andare a fare gli esami del sangue, fu come andare al patibolo: odio aghi, lacci emostatici e l’odore del disinfettante. E con mia amara sorpresa scoprii che le boccette da riempire erano sette. Non avevo mai superato le cinque. Arrivata davanti all'infermiera ero già bianca come un cencio e avevo la pressione sotto i piedi, tant'è che nemmeno il laccio emostatico riuscì a portare in evidenza quel poco di vene che non si erano ancora nascoste. Dopo un lungo ed estenuante gioco di convincimento, le sette boccette furono riempite e la mia dottoressa ebbe finalmente la conferma che i suoi sospetti erano fondati: ipotiroidismo, dovuto forse ai precedenti traumi e immediata visita da uno specialista.

LA RABBIA DEL MOSCERINO
Febbraio 2011

Il dott. O. mi fa accomodare alla scrivania, mi pone le solite domande di rito, mi visita, ma poi intuisce e si mette in ascolto.
Ha gli occhi profondi e buoni e quindi decido di affidargli il mio segreto e i miei dubbi.
—Ho abortito qualche mese fa, probabilmente questo ha influito sulla mia patologia.
Proseguo giustificandomi e raccontandogli di mio padre nervosamente e trattenendo a stento il pianto.
Lui mi lascia finire e poi, teneramente, i suoi occhi mi stringono in un abbraccio:
—Signorina, tutto l’iter che mi ha raccontato non ha influito minimamente sulla sua patologia, stia tranquilla. E le confiderò che se proprio fossi costretto a scegliere una patologia, probabilmente sceglierei la sua. Non c’è nulla di cui si debba preoccupare. Ma ora, se mi permette, vorrei parlarle come un padre, ho un figlio più o meno della sua età…
Sorrido e lo incoraggio a proseguire.
—Bene. Io mi rendo conto che un aborto sia accompagnato da tutta una serie di emozioni: il senso di colpa, il dolore, la perdita e so che ci vorrà tanto tempo per superarlo. E’ una sorta di mutuo con la vita e ogni rata saldata va festeggiata.
Posso garantirle, però, che le rate del “suo mutuo” non saranno eterne e alla fine riuscirà a perdonarsi. Le auguro ogni bene.

CHECCO
Era una serata strana, una di quelle in cui, anche se non vuoi, ti viene da pensare alla vita: alla tua vita, a quante persone hai incontrato, a quante sono state un lampo e a quante vorresti che fossero ancora qui a illuminarti il viso...

lunedì 5 ottobre 2015

Ti prego, portami via con te

Avevo tredici anni quando io, mia sorella e mio padre - all'insaputa di mia madre - andammo al canile a scegliere un cane. Ricordo ancora le gabbie con dentro cuccioli, cani adulti e vecchietti. Quegli occhi che dicevano solo "ti prego, portami via con te". Trovammo una cucciola di due mesi in una gabbia da sola, un incrocio tra un Pit Bull (sì, quelli che mangiano i bambini) e un "chi può dirlo". Se ne stava lì, in un angolo, tremante (ma era fine estate?!), col pancino talmente gonfio che a malapena stava in piedi, sporca, impaurita, l'ombra di se stessa. Fu lei a scegliere noi :) La volontaria del canile ci raccontò che lei e suo fratello erano stati abbandonati. Fin lì niente di strano. Fu il "come" a straziarci il cuore: qualcuno aveva preso questi due cuccioli meravigliosi, aveva legato loro le quattro zampette col fil di ferro (i segni sarebbero rimasti visibili per mesi) e li aveva messi in un sacchetto di plastica. Il sacchetto era stato, quindi, abbandonato sulla riva della Dora con all'interno due creature viventi e scalpitanti. Poco dopo una signora a passeggio col cane, sentendo i guaiti disperati, aveva raccolto questo sacchetto dal contenuto inaspettato e aveva portato i due cuccioli al canile. 
Allora stavo riflettendo, e pensavo che sin da piccola sono stata cresciuta con l'idea che il male non si auguri a nessuno, nemmeno ai peggiori nemici. Però io per le persone che hanno abbandonato la mia piccola in quel modo un'eccezione la farei, perché spero che ovunque siano possano soffrire e morire male. Ah, già che ci sono aggiungerei anche i ragazzi che venerdì sera mi hanno tamponata e sono scappati. 
Ciao, grazie!

venerdì 24 luglio 2015

Giovani, belle e cretine...


Latristezzadelrinoceronte Corporation è lieta di presentarvi 
il progetto che ha commosso solo le loro madri:
GIOVANI, BELLE E CRETINE...
Buona visione!




lunedì 20 luglio 2015

LA MAMMA E’ SEMPRE LA MAMMA

Non è un modo di dire a caso, ma sottintende quanto sia forte il legame tra madre e figlio. Parliamo di attaccamento: quel tipo di rapporto che consente la sopravvivenza della specie umana e si attiva in caso di vulnerabilità. Questa relazione consente di riconoscersi come individuo e di stabilire i primi rapporti con il mondo circostante.
Non tutte le relazioni di attaccamento sono uguali, vediamo se riconosci la tua…

LA DISPONIBILE
Mamma che dà conferme alle emozioni dei figli, rispondendo ai loro bisogni. I figli saranno collaboranti, pieni di risorse e parleranno con i genitori entrando in relazione intima con loro.

L’ASSENTE
Mamma che respinge le richieste dei figli. Questi sentiranno svalutate e senza significato le proprie emozioni. Saranno individui isolati, ostili, distanti dai genitori e che non si sentiranno amati e amabili da nessuno, pensando di non suscitare attenzione e interesse nell'altro e di non riuscire a cavarsela da soli.

L’IMPREVEDIBILE
Le risposte alle richieste dei figli a volte arrivano e a volte no. La sensazione è che le emozioni siano valutate in modo ambiguo, cioè che a volte possano emergere nella relazione e altre no. L'idea perciò è che la mamma ci possa essere, ma anche no. Ciò comporta, nei figli, una limitazione nella voglia di esplorare il mondo. Non si è certi di ritrovare la mamma al ritorno e nemmeno della sua protezione, con conseguente attaccamento eccessivo alla figura materna. Crescendo si alternano la voglia di libertà e la ricerca di vicinanza. I figli dell”imprevedibile” saranno tesi oppure passivi, molto tristi e insicuri e in perenne ricerca di attenzione, perché, se da un lato si percepiscono amabili, dall'altro si sentono deboli e incapaci. Stringeranno relazioni in cui alternano intimità ad ostilità.

LA PROBLEMATICA
La mamma sta passando un brutto momento, come un trauma o un lutto, e ancora non riesce a venirne fuori. Il suo comportamento è imprevedibile, ma in senso dissociato e disorganizzato perché immersa in un mondo interiore doloroso. Alla base di questo rapporto c'è la paura e i figli percepiscono e assumono un triplice ruolo:
•vittime. Spaventati dalla paura e dalle alterazioni della mamma;
•carnefici. Possono riattivare tutta una serie di emozioni legate all'accudimento, l'affetto, l'amore e la tenerezza, che però nella madre sono associate ad eventi dolorosi;
•salvatori. La madre riesce anche a trarre conforto dalla loro vicinanza. Il rischio è quello di crescere figli disorientati e non integrati.

Ovviamente non c'è colpa da nessuna parte. Non bisogna colpevolizzare la propria madre per come ci ha cresciuti e per come ci sentiamo ora. Sicuramente molto di noi deriva dal rapporto che abbiamo stretto con lei sin da piccoli. Ma cambiamo prospettiva: proviamo a non pensare che non ci abbia dato tutto, che ci abbia trattati male o che ci abbia trascurati ecc., proviamo a pensare che quello che ha fatto è stato il meglio che poteva fare, il meglio che poteva donarci in quel momento della sua vita.

lunedì 13 luglio 2015

III EPISODIO. REBECCATE A PUNTATE.

Se vi siete persi le parti precedenti, trovate il racconto completo nel link in alto a sinistra. ... E PASSI IL RESTO DELLA VITA A IMMAGINARE UN ALTRO FINALE.

III PARTE

Mi presi un paio di giorni di tempo, cercando di ricordarmi di respirare.
Spesso mi ritrovai soprappensiero a rassicurare il mio piccolo inquilino con una carezza, sorridendo, ma con quel sorriso amaro di chi una decisione, in cuor suo, l’ha già presa; decisione stupidamente dettata dalla convinzione di non poter deludere più, perché fatto troppe volte. 
Pensai alle due bocciature a scuola, le notti fuori casa e a quegli amici sempre troppo poco raccomandabili per mia madre. Ero lobotomizzata dal dolore e dal senso di colpa. 
I giorni prima dell’intervento furono un susseguirsi di pensieri, di rimproveri a me stessa, di preghiere di poter tornare indietro. E poi quella domanda insistente:
-Perché adesso? Perché proprio in quel momento di vita così delicato e perché con
quell’uomo appena conosciuto. Perché non qualche anno prima, quando questo tipo di notizia avrebbe forse dato una svolta al fidanzamento che oramai portavo avanti, stancamente, da anni.

I MIEI PERSONALISSIMI SALVAGENTE

Rachid fu deleterio e annientante visto da una prospettiva limitata e superficiale. In realtà il suo incontro innescò tutta una serie di reazioni a catena che, ora lo posso dire, mi salvarono la vita.
Decisi che la mia missione fosse aiutare Rachid ad ottenere i documenti: per salvare almeno il padre del figlio a cui avevo rinunciato.

Sfruttammo il decreto flussi.
Alla fine servivano soldi, una casa e una persona che garantisse per lui. A trovargli un posto di lavoro fittizio ci avrebbero pensato i padroni del locale dove faceva il buttafuori.
Usai l
eredità di papà e a quel punto fui sicura di aver individuato la mia missione. Avevo i soldi, un enorme debito con la vita e una persona che aveva bisogno di me.

LA RABBIA DEL MOSCERINO 

23.11.2009

Sto andando da Rachid, per accompagnarlo a lavoro. Sono in anticipo perché dopo aver insistito tanto, questa sera finalmente mi farà salire a casa. Non è convinto, ma io, visto che tra meno di un mese vivremo insieme, voglio vedere la sua quotidianità.
Corso Vigevano, ci sono. Faccio due piani di scale e lui mi attende sul ballatoio.
-Io sono già pronto
...possiamo andare.
Mi dice imbarazzato.

-Ma come? Fammi entrare dai, volevo un bicchiere dacqua. 
Mento.
Lui è in difficoltà, ma io sono troppo curiosa per preoccuparmi.

Entriamo. 
Non mi aspetto di sicuro una reggia, ma per un attimo ho sentito il cuore stringersi. Forse non avrei dovuto insistere. Cerco di non dare a vedere il mio disagio per lui e esploro la casa.
-Carina. Qui è dove dormi tu?.
Indicando un letto a caso dei quattro presenti. 

-Si.
Mi risponde fingendo di sistemare dei vestiti.
-Fa freddino, avete il riscaldamento?
Non mi risponde e mi indica una stufetta elettrica. 

-Dividi la stanza con altre persone?
-Sì, un amico.
Non vado oltre, mi rendo conto di essere stata oltremodo invadente. Ma sono felice di portarlo via dal quel posto. La doccia è in cucina accanto al lavello e fa veramente molto freddo. Non riesco a trattenermi e gli chiedo ancora del bagno e lui, un po
’ spazientito, mi racconta della "turca" sul ballatoio.
Decido che è tardi e che è ora di andare.


Non sono ricca, anche Nichelino, la mia città, offre spesso scene di degrado, ma la vista di tutta quella miseria e del modo dignitoso di quel ragazzo di portarsi addosso con estrema leggerezza il peso dellindigenza, mi fecero commuovere. E decisi che meritava unoccasione.

La nuova casa aveva una cucina color petrolio che me ne fece subito innamorare. Da lì partì la nostra movimentata avventura... 

martedì 7 luglio 2015

La scorsa settimana ho fatto piangere la mia mamma

La scorsa settimana ho fatto piangere la mia mamma.

Si parlava di come il rapporto madre-figlio cambi con gli anni: di come si cerchi di allontanarsi da lei, di come, magari, si parta e si vada all'estero per un periodo; di come non si riesca ad andare d'accordo in nessun modo, come se si appartenesse a due mondi lontani anni luce, quando invece ci separa solamente una generazione. Di come non si riesca a trovare un modo per far funzionare il rapporto, se non la distanza.
Poi le cose cambiano: il tempo passa, la distanza aumenta, l'assenza ne sottolinea la mancanza. E allora parte da noi quella chiamata in più, quel messaggio, quella mail lunga in cui le chiedi notizie e cerchi di spiegarle alcune emozioni. Arriva la voglia di starle vicino, di passare più tempo con lei, vedere un film insieme, cucinare, andare a fare shopping. Il tempo fa il suo egregio lavoro e ci ritroviamo così a pensare che non c'è poi molto tempo, che lei è una e sola e bellissima. Non è perfetta, non ha fatto tutto nel modo migliore possibile, ma chi lo ha fatto? Chi nasce sapendo fare questo lavoro incredibile e difficilissimo che è essere madre?

Rita, mia mamma, ha pianto perché ha pensato ad Agnese, la sua mamma, alias Donna Ines. Una donna d'altri tempi: 96 anni di vita, 10 figli (ecco perché ho parenti sparsi su ogni continente), non so più quante malattie affrontate e superate. Non era una persona facile mia nonna, sembrava uno dei personaggi delle saghe familiari di Garcia Marquez: era abituata a governare un impero e ne era davvero la regina. Per mia mamma, però, aveva un amore speciale, la rispettava e teneva in gran conto la sua opinione.
Quando mia mamma a 18 anni se ne andò di casa, lo fece per liberarsi, ma aveva un groppo in gola. Era troppo giovane ed era sola nella Città Eterna, senza mamma, senza fratelli, senza nessuno.
Gli anni passarono e da Roma si spostò a Torino, conobbe mio padre ed ebbe due bimbe. Così che quando molti anni dopo mia nonna si trasferì da Napoli a Torino, mia mamma ebbe il modo e il tempo di recuperare gli anni perduti e conoscerla di nuovo.
Riscoprì così una donna diversa, più fragile, ammorbidita dal tempo e dagli eventi. Aveva bisogno di lei più di quanto avrebbe mai potuto pensare e infatti non appena aveva un momento libero si precipitava da lei.
Eppure i rimpianti sono delle brutte bestie, ci si ritrova a pensare a cosa avremmo potuto fare di più, cosa avremmo potuto e dovuto dire, quali aspetti sarebbero dovuti cambiare.

Il tempo, il tempo aggiusta le cose e modifica le persone, le emozioni, le sensazioni che ci danno. È il motivo per cui le coppie divorziano e le amicizie finiscono o rinascono o cambiano direzione. Niente rimane uguale a se stesso, se non la sensazione che vedere la propria mamma piangere, ci faccia piangere.
Avessi un bicchiere di vino brinderei alla mia mamma, perché nessuna mamma è perfetta ma in qualche modo tutte lo sono e se siamo quelli che siamo è solo grazie a loro.

Chiara

lunedì 29 giugno 2015

CUORI CORAGGIOSI

Il terzo cuore coraggioso è quello di Cristina.

“Sono Cristina, ho 26 anni e sono impiegata in un ufficio commerciale. Non sto bene da anni, credo da almeno la metà della mia vita.
Ricordo che ho iniziato a mangiare di più e a fare abbuffate dopo che i miei genitori si sono separati, avevo circa 13 anni. Mi ricordo che mi vedevo brutta e grassa e mai all'altezza delle mie aspettative. Avevo un'attenzione eccessiva per il peso, le forme del mio corpo e il controllo dell'alimentazione. E visto che ero un po' sovrappeso mi sentivo triste e arrabbiata, oltre a provare forti sensi di colpa.
Anche la scuola era un po' così: mi concentravo veramente tanto sullo studio e avevo paura di prendere delle insufficienze, che pensavo di non riuscire poi a recuperare. Ci tenevo molto a dare una buona immagine di me e quindi nascondevo gli insuccessi di cui mi vergognavo molto. Non uscivo nemmeno più con le amiche.
Ora va un po' meglio, ma il rapporto con il mio corpo e i pensieri sul cibo e sul peso rimangono ancora forti. Per non parlare poi del senso di vuoto che ogni tanto mi prende e mi trascina in una profonda tristezza. Credo sia arrivato il momento di fare qualcosa per cambiare questa situazione perché vedo che tutto questo ha anche delle ripercussioni nella mia vita sociale e relazionale.”

Cara Cristina, sono d'accordo con te nel voler provare a cambiare questa situazione dopo tutti questi anni. Penso che nella tua adolescenza ci siano stati dei campanelli d'allarme che purtroppo sono stati sottovaluti, ma ciò non significa che sia tutto perduto.
Credo che tu possa aver sofferto molto per la separazione dei tuoi genitori e per la richiesta di responsabilizzazione che ne è derivata e che tu abbia iniziato a controllare la tua vita attraverso il controllo del cibo.
Per me è difficile capire se tu abbia sofferto o soffra ancora di un vero e proprio disturbo alimentare, per questo ti consiglio di fare una serie di controlli e di andare inizialmente dal tuo medico di base per farti indicare gli specialisti che potranno occuparsi di te.
Sicuramente saranno utili le figure di un terapeuta che ti potrà accompagnare in un percorso per comprendere il modo in cui hai costruito e costruisci la tua realtà e in cui dai significato agli eventi, e i pensieri e le emozioni legate ai tuoi sintomi; ma anche quella di un dietologo/nutrizionista con cui potresti progettare un piano alimentare in modo da poter provare a regolarizzare la tua alimentazione.
Questo potrebbe aiutarti a capire quali sono i pensieri automatici che affiorano ogni volta che pensi al cibo e al tuo corpo, ma anche e soprattutto modificare la convinzione che il peso sia l'unico elemento sul quale basare e costruire il tuo valore personale.

Seguiteci e in corno al rinoceronte!

latristezzadelrinoceronte@gmail.com
OGGETTO: Cuori coraggiosi

martedì 16 giugno 2015

Io l'amore non lo voglio perdere

Ho un amico che vive in America.

Vive in una città enorme e caotica, una città che ti prende, ti trascina, ti avvolge e ti stravolge la vita per giorni, mesi, anni. Le giornate si susseguono velocemente e inesorabilmente, una dopo l'altra, come in un film a tripla velocità: cambiano le persone, le voci, i luoghi, i viaggi, ma tutto in fondo rimane sempre uguale a se stesso e questo insieme di cose ti cambia, che tu lo voglia o no.
Ci conosciamo da sempre, ma non siamo sempre stati legati. Un giorno poi, quasi per caso, ci siamo ritrovati a parlare e abbiamo scoperto di aver vissuto vite parallele. Persone molto distanti e diverse, che, però, in qualche modo si connettono l'un l'altra in un modo che ti fa pensare a quanto sia raro e meraviglioso trovare queste anime affini, sperdute nel bel mezzo all'Atlantico.

Questa sera si parlava d'amore. Si parlava di come sia complicato, di come sia una lotta, di come si combatta con le unghie e con i denti perché si crede in qualcosa, perché ne vale la pena, perché abbiamo investito tempo e cuore e vita su questo amore.
Ci sono persone che fanno questo effetto, ti guardano, ti fissano e ti passano attraverso. E ti ritrovi a parlare di amori giusti, di amori sbagliati, se l'amore sia poi mai giusto o sbagliato, se l'amore esista e cosa sia esattamente, come si possa individuare e definire tale.
"Il punto è che nella vita posso perdere tutto: posso perdere il mio tempo, il mio lavoro, la mia attività, la casa, la macchina, gli obiettivi, la forza, la giovinezza. Ma l'amore non deve essere una lotta, deve fluire liscio, non lo posso sbagliare.
L'amore no, l'amore non lo voglio perdere".

Con amore (quello sconosciuto)
Chiara


mercoledì 3 giugno 2015

CUORI CORAGGIOSI di Tatiana Mantovan - FEDERICA E LE RELAZIONI.

CUORI CORAGGIOSI

Il secondo cuore coraggioso è quello di Federica.

“Ho un grandissimo problema con le relazioni, credo di avere proprio un trauma. Incontro, per questo motivo credo, solo gente inconcludente, che alla fine mi sta anche bene, ma so esserci un problema alla base e non riesco proprio a venirne a capo.
L'idea di una relazione mi provoca ansia e sensazione di soffocamento, eppure io tra dieci anni mi vedo sposata e con bambini, ma credo che ciò non sia possibile se non supero questo ostacolo. Pensavo passasse col passare del tempo, ma sono 6 anni che non sembrano esserci margini di miglioramento. Ho 36 anni, sono una donna realizzata e indipendente e credo di aver perso totalmente fiducia negli uomini, li trovo infantili, paurosi, prepotenti, impositori di idee, desiderosi di togliermi quel poco di libertà per cui mi sono battuta. Le mie storie finiscono sempre prima del previsto e sono io a interromperle: ad un certo punto arriva quella che io chiamo "consapevolezza", mi si siede accanto e mi sussurra: "che diamine stai facendo? a breve ti ritroverai a piangere lavando i piatti, mentre lui beve e rutta birra sul divano".
Avrei tanto piacere di sapere che ne pensi e dove, secondo te, dovrei andare a scavare. Dove e quando potrebbe essersi inceppato tutto.”

Cara Federica, da ciò che mi scrivi non credo tu abbia un grandissimo problema con le relazioni. Ciò che mi hai descritto traccia abbastanza chiaramente il tuo profilo di personalità. Infatti le tue sensazioni di soffocamento e ansia rappresentano ciò che noi del mestiere chiamiamo organizzazione di personalità di tipo fobico. Niente di preoccupante o patologico, ma è solo il modo che tu negli anni hai costruito per vedere te stessa, gli altri e il mondo.
Fondamentalmente c'è un'oscillazione tra poli opposti: costrizione e libertà. O ci si rifugia in un rapporto costrittivo appunto, in cerca di protezione e rassicurazione; oppure si rinuncia a qualsiasi legame, privilegiando in modo assoluto la sensazione di libertà, ma che spesso finisce per essere sperimentata come profonda solitudine.
Tutto questo, nello specifico delle relazioni, diventa un tentativo di riuscire ad avere contemporaneamente la protezione totale da parte di persone sicure e la libertà che consente di evitare i doveri costrittivi a cui ci si sente continuamente sottoposti. Probabilmente ecco perché, come tu mi hai scritto, ti ingaggi in relazioni in cui gli uomini ti appaiono “prepotenti, impositori di idee, desiderosi di togliermi quel poco di libertà per cui mi sono battuta”. 
Diciamo che potrebbe instaurarsi una sorta di circolo vizioso in cui tu sì che vuoi una relazione, ma nemmeno così intima e profonda in quanto avresti timore di perdere la tua libertà e si innescherebbero di conseguenza quelle sensazioni di costrizione e ansia di cui mi parlavi prima.
Quello che mi sento di dirti è di provare ad osservare da vicino queste sensazioni e con l'aiuto di un esperto provare a ricostruire il tuo stile affettivo prima e la tua storia di vita poi, per comprendere in che modo si è strutturata la tua personalità e tentare di spezzare il circolo vizioso che scatta in automatico, che però in questo momento di vita ti fa tanto soffrire.
Mi sento inoltre di rassicurarti: questo modo di vivere te stessa, il mondo e le relazioni è stato la miglior strategia possibile che hai messo in atto per poter crescere in modo compensato ed integrato.

Mi fa però anche molto piacere questa spinta al cambiamento visto che probabilmente ora questa “miglior strategia possibile” non funziona più, ti fa soffrire e vuoi provare a raggiungere un miglior equilibrio per te.

Grazie per l'affetto e la fiducia. Continuate a scrivermi, state con noi e in corno al rinoceronte.

latristezzadelrinoceronte@gmail.com
OGGETTO: Cuori coraggiosi

venerdì 29 maggio 2015

BUONA FESTA!!! A MERCOLEDì!!!

Buon fine settimana, buon ponte e buona festa della Repubblica.
Noi ci rivediamo mercoledì, non mancate e mi raccomando...in corno al rinoceronte!!!
Baci da noi tre!

mercoledì 27 maggio 2015

REBECCATE A PUNTATE CON AIUTO...VOSTRO!!! PRIMO EPISODIO.

Ciao piccoli rinoceronti tristi. 
La questione è questa: il racconto è già scritto, ma adoro sperimentare, quindi mi piacerebbe scrivere con voi il racconto parallelo, ovviamente se avete voglia, idee e se vi piace lo spunto. Potete inserirvi adesso o negli episodi successivi, potete essere citati o rimanere anonimi su vostra richiesta. Se vi va scrivetemi qui: latristezzadelrinoceronte@gmail.com Oggetto: Rebeccate a puntate. 

Spero di leggervi presto, rimanete con noi e in corno al rinoceronte!!!



...E PASSI IL RESTO DELLA VITA A IMMAGINARE UN ALTRO FINALE di Rebecca Garrone

Mio padre si è spento una notte di aprile, senza darmi l’occasione di salutarlo, senza aspettarmi. Ho sempre avuto l’illusione, o meglio, la speranza, che esistesse un filo invisibile tra le persone care, quel tipo di legame che dovrebbe far presagire l’arrivo di una disgrazia. Quindi mi sono sempre esercitata ad acuire la mia sensibilità in questo senso.
Dopo la prima grande perdita della mia vita, però, ho creduto a lungo che con mio padre non ci fosse quel legame speciale o che forse io non fossi tanto sensibile come immaginavo. Alla fine ho capito che, se succede qualcosa a una persona per me importante, ci devono essere una serie di coincidenze fortunate per arrivare in tempo.
Quella sera non ero in casa, e quando ricevetti la chiamata di mia madre, lui si era già arreso. E io ancora vivo col pensiero che forse avrei potuto fare la differenza. Quindi ho abbandonato fili e sensibilità e ho cominciato ad allenare le gambe. Perché il segreto è correre sempre. Correre nel senso di esserci, prima che sia tardi, per non dover passare la vita a farsi domande che non troveranno mai una risposta. E non perché non ce ne sia una, ma perché è difficile da accettare: potevo fare di più, potevo godermelo di più, avrei potuto...avrei dovuto...ma non ci sono arrivata, non ci si arriva mai e alla fine è la vita ad avere il sopravvento.

Quando si perde un punto di riferimento importante, non si è mai abbastanza forti per opporsi alla corrente degli eventi e di solito è facile perdersi nelle burrasche della vita.
Dopo il funerale di mio padre, mi imposi, quasi inconsciamente, di non reagire alla situazione e, troppo arrabbiata con la vita e con dio, mi lasciai trascinare dalle circostanze creandomi una vita con persone sconosciute e sbagliate.
Fu in quel momento che decisi di aprire un blog anonimo per sfogare rabbia, frustrazione e raccogliere i pensieri.

BLOG.LA RABBIA DEL MOSCERINO

26.06.2009
Sono passati tre mesi da quando papà è morto. Non esco di casa da allora. Ma questa sera la mia amica Chiara ha insistito così tanto, così è un’ora che mi faccio violenza e fingo di divertirmi. Siamo in un locale dei Murazzi, c’è tanta confusione. Avrei bisogno di un diversivo per abbandonare la ressa.
Eccolo.
Sembra aver captato le mie richieste d’aiuto, ma forse mi sbaglio.Si avvicina.
Nella confusione nessuno si è accorto che le nostre mani si stringono. Mi porta in una zona del locale chiusa al pubblico. Lo seguo con sollievo.
— Ciao io sono Rachid.
— Marica. Fai il buttafuori?
— Sì...sei molto bella.
Sorridendo imbarazzata lo ringrazio.

— Di dove sei?
— Marrakech.
— Li hai i documenti?
Chiedo con fare scherzoso, mantenendo un sorriso rassicurante.

 
— Certains.
Chiacchieriamo ancora. E’ una persona piacevole. Ha gli occhi buoni che rivelano una tristezza velata, forse nostalgia per la sua terra.
 

Ora deve tornare a lavorare. Mi chiede il numero di telefono e salutandomi mi bacia.
Torno da Chiara e giustifico in qualche modo la mia assenza.
— Scusami...c’era coda in bagno.
Io e Rachid passiamo il resto della serata a guardarci furtivamente. E torno a casa pensando che non sia stato l’incontro della vita, ma che distrarmi un po’ non può farmi che bene.
Ci vediamo tutti i giorni da un mese. Sto bene e mi aiuta a distrarmi, anche se mi ha mentito sui documenti. E’ arrivato in Italia quattro anni fa, a Caserta, raggiungendo un cugino della madre con un permesso di lavoro stagionale. Scaduto il documento, i parenti che lo ospitavano l’hanno cacciato, arrivando anche a cambiare la serratura di casa. Così dopo disavventure varie ora è a Torino.
Ha un lavoro, un letto in una stanza con altri connazionali e forse la possibilità di regolarizzare la sua posizione.
Rachid crede nel sogno italiano, lui crede in qualcosa. E’ bello sentirlo raccontare e vedere come gli brillano gli occhi.
—Amo l’Italia da quando sono piccolo.
Con l’italiano non se la cava male. E’ attento e curioso. Sicuramente imparerà velocemente.
Mi fido di lui e ho finalmente abbassato la guardia.

Dopo esattamente un mese, feci la disarmante scoperta di...



martedì 19 maggio 2015

PERCHE' LA TRISTEZZA DEL RINOCERONTE. OGGI VI SVELIAMO IL MISTERO!!!


La tristezza del rinoceronte nasce da un’immagine. E come tutte le immagini fanno, ci ha suscitato dei pensieri che si sono allargati a macchia d’olio, fino a diventare un blog.

Cercherò di partire dall’inizio.

Nell’immaginario collettivo il rinoceronte è un animale mastodontico e fiero, probabilmente cattivo e incazzato, o almeno era quello che mi aspettavo prima di vederlo.

Invece, sarà la cattività in cui è costretto a vivere e forse anche complice quella giornata calda e un principio d’afa, ma Freddy, il rinoceronte dello Zoom di Cumiana, mi si è presentato così.




Come sempre faccio mi sono immedesimata in quella bestiola annoiata. Ho pensato a cosa voglia dire essere un animale in via di estinzione, ho pensato alla pressione che deve subire tutti i giorni. 
Magari Freddy, come i suoi pochi fratelli sparsi per il mondo, non ha voglia di procreare. E invece all’epoca della mia visita allo Zoom “aspettava una compagna” che doveva arrivare a giorni, non ricordo da dove. Una compagna scelta da chi? E se Freddy volesse morire solo, single e senza prole?
Si trova a subire imposizioni ed è costretto a seguire “quello che è giusto”, secondo chi poi? 


Il siparietto che mi sono immaginata è all’incirca questo.

Una grande folla in tumulto, cori da stadio:

—Scopa Freddy, scopa!!!
E il povero Freddy, suda e pensa:

A me sta Rinocerontessa proprio non mi piace. E poi che modi? Nemmeno un po’ di intimità per fare due chiacchiere. E chissà chi è tutta questa gente? E poi chissà perché vogliono che mi unisca a questa disponibilissima signora.


Insomma il rinoceronte ci rappresenta in quanto persone che tentano di fuggire alle imposizioni, ma che il peso di quelle imposizioni lo sentono e se ne rattristano; che vorrebbero allontanarsene e tentare altre vie, strade non battute, magari difficili.

E ancora ci rappresenta in quanto esseri umani in via di estinzione, ché la tenacia nel perseguire obiettivi e l’emancipazione spesso lascia soli, incompresi e quindi tristi. 

Questo blog è un mezzo per obiettivi più grandi e ambiziosi. Ognuna di noi metterà in gioco la propria passione e non solo, con la forza di un rinoceronte e con quel pizzico di tristezza consapevole che poi è tipicamente donna, come noi. 

Siamo alla ricerca di confronto, crescita e di un po’ di esperienza social. 

E ora siamo qui...noi e il rinoceronte triste! 

Continuate a stare con noi e in corno al rinoceronte!

Rebe, Chia e Tati.

venerdì 15 maggio 2015

CUORI CORAGGIOSI di Tatiana Mantovan


Il termine psicologia deriva dal greco psyché = spirito, anima e da logos = discorso, studio. Letteralmente la psicologia è quindi lo studio dello spirito o dell'anima. Questo è quello che ci insegnano il primo anno di università, ma dopo anni di studio, esperienza sul campo e vita vissuta, per me la psicologia è altro.
Per me significa prendersi cura di sé. Trovo coraggiosa ogni persona che sceglie di fare questo passo, di avvicinarsi a qualcuno che lo possa aiutare. Significa che ci si è data la possibilità di soffrire, ma significa anche saper chiedere aiuto e accettare che in alcuni momenti della vita non ce la si può fare da soli.
Il percorso è duro e difficile e diciamocela tutta, non è detto che funzioni. Ma ciò che è certo è che si intraprende insieme e si lavora e fatica in due per poterlo affrontare, arrivare ad una maggiore consapevolezza di sé e scoprire nuove lenti da indossare attraverso cui leggere se stessi e il mondo.
Siate coraggiosi e provate a non aver paura.

Il primo cuore coraggioso è quello di Roberta.

Volevo parlarti di ciò che mi sta capitando in questo periodo. I miei genitori si sono separati da pochi mesi a causa del tradimento di mio papà; mia mamma sta molto male e non esce di casa, piange tutto il giorno e non si alza dal letto. A me spiace molto vederla cosi e cerco di starle vicino il più possibile, anche fisicamente.
Quando, però, mi capita di uscire di casa per svagarmi un po', mia mamma ha veri e propri scoppi d'ira, mi urla contro e fa picchetto davanti alla porta per non farmi uscire.
Ciò che mi fa soffrire di più di questa situazione è che da un lato mi sembra non si accorga e non apprezzi quanto in realtà io stia facendo per lei, dall'altro a volte non mi sento libera di vivere la mia vita e rinuncio a uscire, nonostante sappia che, se lo facessi, non ci sarebbe nulla di male. Come posso fare?”

Penso che i tuoi vissuti siano assolutamente normali: vedi tua mamma stare così male e fai il possibile per farla stare meglio. Tua mamma sta vivendo un momento di crisi profonda e molto probabilmente sente il bisogno di vicinanza fisica, più che di quella emotiva. Il fatto di essere rimasta sola dopo anni di condivisione con un uomo l'avrà scompensata e ora starà cercando questa condivisione e vicinanza in te. Probabilmente il fatto che tu esca di casa per svago le riattiva una sensazione di abbandono e di paura che anche tu la lascerai sola, per questo ne deriva quella rabbia.
Credo che passare il tempo con lei sia una buona strategia, ma anche vivere la tua vita deve esserlo per te. Anche per te, infatti, sarà un periodo difficile e io non sacrificherei i momenti che ti prendi per te stessa, in quanto li trovo funzionali per poter reggere la situazione e ritagliarti degli spazi di condivisione di pensieri ed emozioni legati alla separazione dei tuoi genitori, che dovrai elaborare anche tu.
Credo, inoltre, che questa possa essere solo una fase transitoria in cui la tua mamma imparerà a interiorizzare la tua vicinanza e sentire che ci sei per lei, anche senza la tua presenza fisica. A maggior ragione, quindi, cercherei di non assecondarla sempre nel suo desiderio di tenerti a fianco a lei, in quanto, per i motivi detti prima, lo trovo funzionale per entrambe.
Comprendo che possano emergere sensi di colpa a saperla a casa da sola a piangere, mentre magari tu sei fuori a divertirti, ma dovresti provare a pensare quanto questo in realtà non sia disinteresse o cattiveria nei confronti di tua mamma, ma quanto possa essere protettivo per l'equilibrio di entrambe.


Continuate a scrivermi, rimanete con noi e in corno al rinoceronte.

Tati

giovedì 14 maggio 2015

Storie di vita

Questa è la storia di Amedeo.
Amedeo è un bell'uomo di 45 anni, sposato con sua moglie da 18. Nel corso di questo periodo possiede diverse attività, tra cui un supermercato. Si può dire che sia benestante, vive con lei in una villetta fuori Torino e cresce come un padre la figlia di lei, che era ragazza madre. Non fa mancare loro nulla, le vizia e le ama ambedue. Nel corso degli anni, ovviamente a un certo punto si fa viva la crisi: lui deve chiudere le sue attività e rimane senza lavoro. Poco male, vende una casa e ne ricava 250000 euro, coi quali vive bene. Certo, finché non trova un lavoro non si può strafare...ma la moglie, dopo 18 anni di matrimonio e nonostante la disperazione della figlia di lei (che ora non le parla più), lo lascia, principalmente perché si sente trascurata. Allora Amedeo va a vivere da solo e incontra Uber: comincia a lavorare, a lavorare tanto perché lavorare lo aiuta a non pensare a lei, a sua figlia che non lo era davvero, ma che si è cresciuto e che gli manca molto, come a lei manca lui. Esce in macchina e parla con tante persone e si distrae e comincia quasi a capire le motivazioni di sua moglie ed è pur sempre arrabbiato, ma prova a capire. Un uomo salvato da uber.
Chiara Turin 

domenica 10 maggio 2015

Rebeccate 10.05.2015

Ciao a tutti! Ho deciso di celebrare la mia “prima volta” qui con questo
raccontino che è stato anche l’esordio al corso di scrittura creativa che
sto seguendo.
Attendo i vostri pareri, consigli, suggerimenti.

Buona lettura e in corno al rinoceronte!!!

ALLUVIONE DELL’ANIMA - di Rebecca Garrone.
Stava morendo.
Sentiva le forze abbandonarlo lentamente, ma non era spaventato. Da
qualche tempo l'idea della morte gli dava sollievo. Era stanco e la stava
aspettando, come quando, rassegnati, si aspetta l'autobus in un giorno in
cui si ha fretta.
Da quando era rimasto solo, aveva pensato spesso di lasciarsi morire. Ma
non lo poteva fare: aveva dato la sua parola.
In quel momento, però, non dipendeva da lui. Si opponeva alla forza
dell'acqua da troppo tempo e sapeva di non poter resistere oltre. L’unico
motivo che lo obbligava a esasperare i suoi muscoli e i suoi tendini era
quella promessa che lei, una volta, gli aveva strappato. Una forza
innaturale non gli permetteva di arrendersi.
Abitava poco fuori Genova e la pioggia lo rendeva triste.
Aveva il potere di mettergli un enorme e pesante macigno sul cuore.
La casa lo stava soffocando, e quel nove ottobre aveva deciso di uscire
per una passeggiata serale, senza badare alla pioggia incessante e agli
insistenti allarmi meteo.
Aveva bisogno d'aria, di una tregua da quei brutti pensieri.
Come sempre passò davanti allo specchio accanto alla porta,
soffermando lo sguardo sui capelli canuti. Il volto, adornato da rughe
profonde, era il riflesso di una vecchiaia che gli apparteneva solo in parte
e che era convinto di non meritare.
Uscì.
Il cielo era scuro e lui camminava instancabile. Da molte ore l'acqua era
ormai diventata incontenibile, e lui, si era soltanto sentito travolgere. In
pochi secondi l'acqua lo aveva inghiottito: gli argini del Bisagno non
erano riusciti a contenere la rabbia del torrente. In quello stesso istante, si
era reso conto che il suo cuore non poteva più sopportare tutto quel dolore.
L'istinto di sopravvivenza l'aveva spinto a cercare un appiglio, e dopo
essere stato trascinato per un centinaio di metri, era riuscito ad
aggrapparsi alle grate di una finestra.
Trovandosi così, ferito e prostrato, l'unico pensiero che gli dava la forza
di resistere era lei, la donna con la quale si era illuso di invecchiare.
Sempre lei, che si era spenta in un giorno grigio come quello e che, da
quell'istante, gli aveva fatto maledire Genova, la pioggia e la sua stessa
vita.
Si erano conosciuti in ospedale. Lui faceva l’infermiere. Lei, invece, era
abitata da un male che a poco a poco la stava divorando.
L'aveva amata da subito: amava la sua enorme forza concentrata in un
corpo così esile. Lui aveva creduto in quell’amore che lo aveva fatto
sentire potente e in grado di salvarla.
Era un romantico malinconico, una di quelle persone che soffrono per le
ingiustizie del mondo. Un empatico, un po’ burbero ma con un gran
cuore, che in lei aveva trovato la sua pace.
Lei lo aveva capito subito, le bastava uno sguardo per capire le persone.
Sapeva di non avere molto tempo e gli aveva insegnato a gioire per le
piccole cose e per ogni giorno regalato. Prima di lasciarlo per sempre, lo
aveva legato a filo doppio con la vita rubandogli un ultimo giuramento.
—Sono così stanca...avvicinati. Devo chiederti una cosa importante.
Giurami...che sarai anche i miei occhi e che vivrai...
—Ma che dici...i tuoi occhi? ...sì te lo giuro...mi senti? Te lo giuro…te lo
giuro…

Delle voci provenienti dalla casa lo rubarono ai suoi pensieri. Vide una
mano tesa e la possibilità di mettersi in salvo. Era l’ennesima occasione di
tenere fede all’impegno preso. Doveva solo scegliere tra il violento
ritorno alla vita o il dolce e consolante abbraccio della morte.
Furono attimi eterni e alla fine, a scegliere, fu una forza non sua. Un'altra
volta, l'amore per quella donna l'aveva spinto verso il gravoso sacrificio
di vivere anche per lei.

domenica 3 maggio 2015

Karmageddon

Bisognerebbe essere persone che pensano alle conseguenze delle proprie azioni, persone che non agiscono soltanto per se stesse, ma tenendo conto del dolore che potrebbero arrecare. Anche perché non vorrei ripetermi, ma a sto cazzo di karma non sfugge nulla.
Chiara 

sabato 2 maggio 2015

La verità

La verità è che non stiamo bene. La vera verità è che pochi stanno bene, forse nessuno.
Così un giorno Rebecca è andata allo Zoom ed è rimasta sconvolta dalla riservatezza/solitudine/tristezza di 'sto cazzo di rinoceronte e da allora ci magona con una certa regolarità con le foto di questa tenerissima creatura. 
Io sono Chiara, un'antropologa che non fa l'antropologa.
E poi c'è Tatiana, una psicologa che cerca di fare la psicologa. 
Siamo amiche, siamo pazze, non sarà semplice. Ma siamo qui.